Credere n. 11 - 15/03/2015
Grazie, papa Francesco, per questi due anni insieme
Caro papa Francesco, questa settimana mi rivolgo direttamente a te dalle pagine di Credere. Per ringraziarti di questi due…
«Francesco ci ha insegnato l’arte dell’incontro»
Diego Fares è lo scrittore che il Papa consiglia di leggere ai giornalisti. Di Bergoglio dice: «Egli mostra come guardare…
Con Francesco un minuto di preghiera è diventato eterno
Monia Pinzaglia voleva recitare con il Papa un’Ave Maria per il figlio malato. Si sono raccolti assieme: «Ora ogni volta…
«Sono prete, ma Gian mi ha convertito»
Può un sacerdote esser convertito da un ragazzo malato? Don Marco D’Agostino dice di sì, l’ha provato in prima persona. La…
Cosa chiediamo ai bambini
Con molle sufficienti sotto ai piedi, avrei fatto un salto in cielo per chiedere consiglio alla venerabile Nennolina, che…
Ite, missa est | Emanuel Fant
Cosa chiediamo ai bambini
Illustrazione di Emanuele Fucecchi
Con molle sufficienti sotto ai piedi, avrei fatto un salto in cielo per chiedere consiglio alla venerabile Nennolina, che a sei anni ha offerto la sua gambina col tumore a nostro Signore, e a sette la vita tutta intera. Già che c’ero, mi sarei fatto indicare pure la scranna di Lucia, già pastorella di Fatima, che prima delle medie aveva visitato l’inferno dal vero, indossava il cilicio e faceva digiuno con la sicurezza che il pranzo che non prendeva si poteva scambiare con un bel colpo da dietro a una qualche stortura.
I tempi sono cambiati, e con loro i bambini, e io ho scarpe normali: tremavo all’idea di spiegare a mio figlio che cosa vuol dire rinunciare, provare in Quaresima a darsi un limite in un ambito a scelta, con lo scopo non solo di tonificare gli addominali interiori (gli unici che ormai tengo in considerazione), ma pure di rendere più sano l’universo intero. Si rischia la galera ad accostare “sacrificio” e “bambini”. È un falso pudore che serve solo a rimanere senza fiato nei reparti pediatrici degli ospedali.
Pensiamo i bambini come dei contenitori che, a causa di un metro in meno di statura, non hanno la capienza per sopportare certe grandi questioni. Eppure è permesso, è richiesto, anche a loro di soffrire. E se provo a pensare alle volte che ho pianto sul serio, alle elementari, non ricordo certo lacrime su misura, o un dolore più carino, con gli angoli rotondi e incollati sopra gli adesivi. Ammettiamolo: i figli sono strutturati per accedere a misteri tali e quali a quelli che competono ai loro genitori. Dio li prende sul serio, i bambini.
«Insomma, tu puoi decidere di non mangiare il quinto Tic Tac e di offrirlo per una cosa che ti sta a cuore, intendo, non il Tic Tac, l’intenzione». Mi guarda come quando ha capito. «Sul serio? Hai capito?». Forse qualcuno, in un posto lontano, ha sacrificato il suo Tic Tac perché una risibile spiegazione risultasse sufficiente al mio Michelino. Ma io continuo a sospettare che li sottovalutiamo.